Giuseppe Gulotta

Giuseppe Gulotta aveva 18 anni quando venne prelevato e portato nella caserma dei carabinieri di Alcamo come sospettato dell'omicidio di due militari dell'Arma. Venne picchiato e seviziato per ore finché non confessò quello che non aveva fatto. Poi ritrattò invano. Il processo nel '90 con la condanna a vita. Nel 2007, con il pentimento di uno dei carabinieri che parteciparono all'interrogatorio, il nuovo processo e, oggi, la sentenza: "Non è colpevole. Lo Stato deve restituirgli libertà e dignità"

Dopo 21 anni, 2 mesi, 15 giorni e sette ore di carcere, Giuseppe Gulotta, adesso cinquantenne, ha ottenuto giustizia e dignità. Alle ore 17,35 di oggi la Corte d'Appello di Reggio Calabria dove si è celebrato il processo di revisione, ha pronunciato la sentenza. Giuseppe Gulotta è innocente, e da oggi non è più un ergastolano, non è l'assassino che il 26 gennaio del 1976 avrebbe ucciso, assieme ad altri complici, due carabinieri, Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, in un attentato alla caserma di Alcamo Marina, un paese al confine tra le province di Palermo e Trapani.

LA VIDEOINTERVISTA A GIUSEPPE GULOTTA

"Gulotta non c'entra nulla; abbiamo il dovere di proscioglierlo da ogni accusa e restituirgli la dignità che la giustizia gli ha indebitamente tolto" ha detto oggi la pubblica accusa prima che la corte si riunisse in camera di consiglio per emettere una sentenza di assoluzione che Giuseppe Gulotta attendeva da troppo tempo. Da quando, 35 anni fa, appena diciottenne, fu arrestato, condotto in carcere e, più tardi, dopo la durissima trafila dei diversi gradi processuali, condannato all'ergastolo definitivamente. E con lui gli altri tre suoi presunti complici: due sono ancora latitanti in Brasile; il terzo, Giuseppe Vesco, si suicidò in carcere qualche anno dopo il suo arresto.

Ad accusare Gulotta della strage fu appunto Giuseppe Vesco, considerato il capo della banda, suicidatosi - in circostanze non del tutto chiare - nelle carceri di ''San Giuliano'' a Trapani, nell'ottobre del 1976. A provocare la revisione del processo che si è finalmente concluso oggi con l'assoluzione di Gulotta, sono state le dichiarazioni, molto tardive, di un ex ufficiale dei carabinieri Renato Olino che nel 2007 raccontò che le confessioni di Gulotta e degli altri erano state ottenute a seguito di terribili torture da parte dei carabinieri. Olino, che si era dimesso dal'Arma proprio in seguito alla vicenda di Alcamo, non aveva retto al rimorso e aveva deciso di dire la verità. Gli altri carabinieri, oggi quasi tutti molto anziani, hanno fatto qualche ammissione o si sono rifiutati di rispondere. Ma la giustizia ha trovato elementi sufficienti per il processo di revisione e per questa assoluzione che, inevitabilmente, dovrebbe aprire la strada a un congruo risarcimento per gli imputati. Anche per gli altri due condannati, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, fuggiti all'estero prima che la condanna diventasse esecutiva, ci sarà adesso la revisione. 

La notte del 27 Gennaio di quell'anno Carmine Apuzzo (19 anni) e l'appuntato Salvatore Falcetta, due militari dell'Arma, furono trucidati da alcuni uomini che avevano fatto irruzione nella piccola caserma di Alcamo Marina. L'attacco suscitò ovviamente forte impressione in Sicilia e in tutta Italia. Si puntò sulla pista politica e finirono nel mirino delle indagini alcuni giovani di sinistra. Pochi giorni dopo venne fermato un giovane alcamese, Giuseppe Vesco, trovato in possesso di una pistola in dotazione ai carabinieri. La sua casa venne perquisita e saltò fuori anche l'arma utilizzata per il delitto. Il giovane, però, si dichiarò estraneo ai fatti affermando soltanto che aveva avuto il compito di consegnare delle armi. In seguito alle pressioni dei carabinieri, Giuseppe Vesco cambiò rapidamente la sua versione: condusse gli inquirenti al luogo in cui erano conservati gli indumenti e gli effetti personali dei due agenti uccisi (in una stalla di proprietà di Giovanni Mandalà, un bottaio di Partinico), dichiarò di aver fatto parte del commando che aveva fatto irruzione nella casermetta e fece il nome dei suoi tre complici: Gulotta, Ferrantelli e Santangelo.

Dopo poco tempo Vesco ritrattò tutto e dichiarò che quanto da lui affermato era stato ottenuto in seguito di terribili torture. Nelle sue lettere dal carcere San Giuliano di Trapani descrive minuziosamente il comportamento dei carabinieri e come erano state estorte le confessioni dei fermati. Ma pochi giorni prima di essere nuovamente ascoltato dagli inquirenti, venne trovato impiccato nella sua cella, con una corda legata alle grate della finestra, cosa resa abbastanza difficile dal fatto che a Vesco era stata amputata una mano a causa di un incidente. E proprio a questa vicenda si legano le confessioni del pentito Vincenzo Calcara, che lascia intravedere una verità fino ad ora soltanto accennata, ma resa più concreta anche da alcune rivelazioni in cui si attesta una collaborazione tra mafia e Stato. Calcara avrebbe affermato che gli venne intimato di lasciare da solo in cella Giuseppe Vesco e che lo stesso venne ucciso da un mafioso aiutato da due guardie carcerarie. 

Anche quanto affermato dal pentito Peppe Ferro libera i quattro dalle gravi accuse: "Li ho conosciuti in carcere quei ragazzi arrestati... Erano solamente delle vittime... pensavamo che era una cosa dei carabinieri, che fosse qualcosa di qualche servizio segreto".

Dopo la chiamata di correità di Vesco, Giuseppe Gulotta fu arrestato e massacrato di botte per una notte intera. La mattina, dopo i calci, i pugni, le pistole puntate alla tempia, i colpi ai genitali e le bevute di acqua salata, avrebbe confessato qualunque cosa e firmò un documento in cui affermava di aver partecipato all'attacco alla caserma. Il giorno dopo, davanti al procuratore, Gulotta ritrattò tutto e provò a spiegare quello che gli era successo. Non venne mai creduto, neanche al processo che, nel 1990 lo condannò in via definitiva all'ergastolo. Poi, nel 2007, la confessione di Olino e la revisione chiesta e ottenuta dal suo avvocato Salvatore Lauria. Oggi l'assoluzione. Ma Giuseppe Gulotta ha trascorso gran parte della sua vita in carcere. Durante un breve periodo di soggiorno si è sposato con la donna che lo ha sempre "protetto" e che gli ha dato un figlio. Adesso, completamente libero, andrà a vivere a Certaldo, in Toscana, dove, da quando è in semilibertà, fa il muratore. "Sono felice di essere stato riconosciuto finalmente innocente. Ma chi potrà mai farmi riavere la gioventù che ho passato in carcere, chi potrà mai darmi quegli anni che ho perduto senza potere crescere mio figlio?".

Alessandro Margara

È magistrato dal 1958 e ha svolto varie funzioni sia nel ramo penale che in quello civile e, in particolare, quello di giudice istruttore penale presso il Tribunale di Ravenna (1961/65), poi presso quello di Firenze (1965/76). In entrambe le sedi ha svolto anche la funzione di giudice di sorveglianza, che era impegnato nella attività di sorveglianza sulla esecuzione delle pene, funzione prevista dall'art.144 del Codice penale, abrogato con la entrata in vigore del Nuovo Ordinamento penitenziario, di cui alla L. 26/7/1975, n 354.

All'entrata in vigore di tale legge, erano istituiti i nuovi Uffici di sorveglianza sull'esecuzione delle pene, articolati in: magistrato di sorveglianza, giudice monocratico, e sezione di sorveglianza, giudice collegiale, che univano alle competenze del precedente ufficio del giudice di sorveglianza le specifiche competenze in materia penitenziaria previste dal Nuovo Ordinamento penitenziario, particolarmente quelle relative ai benefici penitenziari.

Dal giugno 1976 al settembre 1980, Alessandro Margara era presidente della sezione di sorveglianza e magistrato di sorveglianza di Bologna. Dal settembre 1980 fino al settembre 1997 era presidente della sezione di sorveglianza, dal 1986 denominata tribunale di sorveglianza, e magistrato di sorveglianza a Firenze.

Nel settembre 1997, messo fuori del ruolo della Magistratura, era nominato direttore generale del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria. Cessava da tale incarico, per non conferma da parte del Ministro della Giustizia, col 1/4/1999. Riammesso nel ruolo della Magistratura era assegnato, a sua domanda, al Tribunale e Ufficio di sorveglianza di Firenze, con le funzioni di magistrato di sorveglianza.

Nel periodo precedente l'entrata in vigore del nuovo Ordinamento Penitenziario, partecipava a vario titolo alle attività che prepararono l'approvazione e della legge: ricordo la collaborazione alla rivista «Quale giustizia», pubblicata da Magistratura democratica, la partecipazione al convegno sulle Misure di sicurezza che si tenne a Pisa, nel 1972, e ad atre iniziative, tra cui quelle concernenti gli ospedali psichiatrici giudiziari avviate dalla Direzione generale degli istituti di prevenzione e pena. Dopo la approvazione della legge di riforma, furono numerose sia le partecipazioni ad attività istituzionali, sia quelle di approfondimento in materia penitenziaria: fra le prime, la partecipazione alla Commissione mista fra Consiglio superiore Magistratura, Ministero della giustizia e magistrati di sorveglianza; fra le seconde la partecipazione a convegni e seminari: ricordo la partecipazione al convegno di Lecce nel dicembre 1970, sulle misure alternative; a quello di Firenze, del 1977, sui problemi di attuazione della Riforma penitenziaria; a quello di Arezzo, sulla nuova legislazione psichiatrica e in particolare sugli ospedali psichiatrici giudiziari; a quello di Parma, del 1980, sui rapporti fra Amministrazione penitenziaria ed Enti locali per un nuovo sistema di strutture penitenziarie; sono state numerose le partecipazioni ai seminari organizzati in materia dal Consiglio superiore della Magistratura. In questo periodo ha pubblicato un lavoro sulla funzione della Magistratura di sorveglianza, raccolto in una miscellanea di articoli sul Nuovo Ordinamento Penitenziario, coordinati da Vittorio Grevi; altro lavoro sul procedimento di sorveglianza era pubblicato nel Dizionario di diritto e procedura penale, curato da Giuliano Vassalli.

Attraverso la partecipazione alla commissione mista con CSM, Ministero grazia e giustizia e magistrati di sorveglianza, e vari interventi nei Seminari del CSM, Alessandro Margara ha partecipato ai lavori che hanno preparato la L. 10/10/1986, n. 663, c. d. Legge Gozzini. Dopo di questa sono proseguite le partecipazioni a commissioni su problemi penitenziari (ne veniva istituita una anche presso il Dipartimento Amministrazione penitenziaria, che aveva sostituito la Direzione generale istituti prevenzione e pena) e ai seminari del CSM.

Più recentemente ha partecipato, con propria relazione, ai lavori della Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze di Palermo (1993) e alla preparazione di quella di Napoli (1997).

Alessandro Margara ha anche partecipato, in modo più intenso durante la fase in cui era direttore generale del Dip. Amm. Penitenziaria, alle attività preparatorie di altri testi di legge, giunti alla approvazione, o ancora in discussione: così, per la legge c. d. Simeone, nonché per quella relativa ai detenuti ammalati di AIDS, già approvate; così per i disegni di legge in fase di approvazione, relativi alle detenute madri, alla agevolazione per il lavoro di detenuti e di soggetti in misura alternativa ed altre ancora (recanti modifiche all'Ordinamento penitenziario). In particolare, ha coordinato un gruppo di lavoro presso la fondazione Giovanni Michelucci di Firenze, che ha messo punto un testo normativo di riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari, presentato poi come progetto in Parlamento dalla Regione Toscana.

Nel periodo più recente ha pubblicato un articolo sulla situazione penitenziaria dalla Riforma in poi nella rivista «Il Ponte», n 7/9 del 1995 (Memoria di trenta anni di galera: un dibattito spento, un dibattito acceso) e un contributo nel volume Il vaso di Pandora: carcere e pena dopo le riforme (a pag. l55, col titolo Le parole, le cose e le pietose bugie).

L'altro diritto - Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità - ISSN 1827-0565

Andrea Milluzzi (Moderatore)

Toscano di Cortona (AR), classe 1981, è giornalista professionista dal Febbraio 2006.

Laureato in scienze della comunicazione a Siena, dopo essersi formato su testate locali e su radio Facoltà di Frequenza, la prima radio universitaria italiana, approda a Roma. Per quasi 8 anni lavora al quotidiano Liberazione, occupandosi di politica, lavoro ed economica.

Dal 2011 viaggia in Medio Oriente e vive a Beirut. Sta realizzando un progetto fotogiornalistico sulle comunità Cristiane dell'area. È co-fondatore della web radio Radio Beirut.

Collaboratore de L'Epresso, ha pubblicato i libri Cgil, 100 anni al lavoro (Ponte alle Grazie, 2006) e Stato d'Italia (Postcart, 2011). Collabora con Huffington Post

 

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