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Anno vasariano: Da "LE VITE DE' PIÙ ECCELLENTI PITTORI, SCULTORI E ARCHITETTORI"

023DELLA PITTURA

Cap. XV. Che cosa sia disegno, e come si fanno e si conoscono le buone pitture, et a che; e dell'invenzione delle storie.

Perché il disegno, padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura, procedendo dall'intelletto, cava di molte cose un giudizio universale, simile a una forma o vero idea di tutte le cose della natura, la quale è singolarissima nelle sue misure, di qui è che non solo nei corpi umani e degl'animali, ma nelle piante ancora, e nelle fabriche e sculture e pitture cognosce la proporzione che ha il tutto con le parti, e che hanno le parti fra loro e col tutto insieme. E perché da questa cognizione nasce un certo concetto e giudizio che si forma nella mente quella tal cosa, che poi espressa con le mani si chiama disegno, si può conchiudere che esso disegno altro non sia che una apparente espressione e dichiarazione del concetto che si ha nell'animo, e di quello che altri si è nella mente imaginato e fabricato nell'idea. E da questo per avventura nacque il proverbio de' Greci "Dell'ugna un leone", quando quel valente uomo vedendo scolpita in un masso l'ugna sola d'un leone, comprese con l'intelletto da quella misura e forma le parti di tutto l'animale, e dopo il tutto insieme, come se l'avesse avuto presente e dinanzi agl'occhi.

Credono alcuni che il padre del disegno e dell'arti fusse il caso, e che l'uso e la sperienza, come balia e pedagogo, lo nutrissero con l'aiuto della cognizione e del discorso; ma io credo che con più verità si possa dire il caso aver più tosto dato occasione, che potersi chiamar padre del disegno. Ma sia come si voglia, questo disegno ha bisogno, quando cava l'invenzione d'una qualche cosa dal giudizio, che la mano sia, mediante lo studio et essercizio di molti anni, spedita et atta a disegnare et esprimere bene qualunche cosa ha la natura creato, con penna, con stile, con carbone, con matita o con altra cosa; perché quando l'intelletto manda fuori i concetti purgati e con giudizio, fanno quelle mani, che hanno molti anni essercitato il disegno, conoscere la perfezione et eccellenza dell'arti, et il sapere dell'artefice insieme. E perché alcuni scultori talvolta non hanno molta pratica nelle linee e ne' dintorni, onde non possono disegnare in carta, eglino in quel cambio con bella proporzione e misura facendo con terra o cera uomini, animali, et altre cose di rilievo, fanno il medesimo che fa colui il quale perfettamente disegna in carta o in su altri piani.

Hanno gli uomini di queste arti chiamato o vero distinto il disegno in varii modi, e secondo le qualità de' disegni che si fanno. Quelli che sono tocchi leggermente et apena accennati con la penna o altro si chiamano schizzi, come si dirà in altro luogo. Quegli, poi, che hanno le prime linee intorno intorno sono chiamati profili, dintorni, o lineamenti. E tutti questi o profili o altrimenti che vogliam chiamarli servono così all'architettura e scultura come alla pittura, ma all'architettura massimamente; perciò che i disegni di quella non sono composti se non di linee, il che non è altro quanto all'architettore, ch'il principio e la fine di quell'arte, perché il restante, mediante i modelli di legname tratti dalle dette linee, non è altro che opera di scarpellini e muratori. Ma nella scultura serve il disegno di tutti i contorni, perché a veduta per veduta se ne serve lo scultore quando vuol disegnare quella parte che gli torna meglio, o che egli intende di fare per ogni verso o nella cera o nella terra o nel marmo o nel legno o altra materia.

Nella pittura servono i lineamenti in più modi, ma particolarmente a dintornare ogni figura, perché quando eglino sono ben disegnati e fatti giusti, et a proporzione, l'ombre, che poi vi si aggiungono, et i lumi sono cagione che i lineamenti della figura che si fa, ha grandissimo rilievo, e riesce di tutta bontà e perfezzione. E di qui nasce, che chiunque intende e maneggia bene queste linee sarà in ciascuna di queste arti, mediante la pratica et il giudizio, eccellentissimo. Chi dunque vuole bene imparare a esprimere disegnando i concetti dell'animo e qualsivoglia cosa, fa di bisogno, poi che averà alquanto assuefatta la mano, che per divenir più intelligente nell'arti si eserciti in ritrarre figure di rilievo o di marmo, o di sasso, o vero di quelle di gesso formate sul vivo, o vero sopra qualche bella statua antica, o sì veramente rilievi di modelli fatti di terra o nudi o con cenci interrati addosso, che servono per panni e vestimenti; perciò che tutte queste cose essendo immobili e senza sentimento, fanno grande agevolezza stando ferme a colui che disegna, il che non avviene nelle cose vive, ché si muovono. Quando poi averà in disegnando simili cose fatto buona pratica et assicurata la mano, cominci a ritrarre cose naturali, et in esse faccia con ogni possibile opera e diligenza una buona e sicura pratica; perciò che le cose che vengono dal naturale sono veramente quelle che fanno onore a chi si è in quelle affaticato, avendo in sé, oltre a una certa grazia e vivezza, di quel semplice, facile, e dolce che è proprio della natura, e che dalle cose sue s'impara perfettamente, e non dalle cose dell'arte abbastanza già mai. E tengasi per fermo, che la pratica che si fa con lo studio di molti anni in disegnando, come si è detto di sopra, è il vero lume del disegno, e quello che fa gli uomini eccellentissimi. Ora avendo di ciò ragionato a bastanza, seguita che noi veggiamo che cosa sia la pittura.

Ell'è dunque un piano coperto di campi di colori in superficie o di tavola o di muro o di tela, intorno a' lineamenti detti di sopra, i quali per virtù di un buon disegno di linee girate circondano la figura. Questo sì fatto piano, dal pittore con retto giudizio mantenuto nel mezzo chiaro e negli estremi e ne' fondi scuro, et accompagnato tra questi e quello da colore mezzano fra il chiaro e lo scuro, fa che, unendosi insieme questi tre campi, tutto quello che è tra l'uno lineamento e l'altro si rilieva et apparisce tondo e spiccato, come s'è detto. Bene è vero che questi tre campi non possono bastare ad ogni cosa minutamente, atteso che egli è necessario dividere qualunche di loro almeno in due spezie, faccendo in quel chiaro due mezzi, e di quello scuro due più chiari, e di quel mezzo due altri mezzi che pendino l'uno nel più chiaro e l'altro nel più scuro. Quando queste tinte d'un color solo, qualunche egli si sia, saranno stemperate, si vedrà a poco a poco cominciare il chiaro, e poi meno chiaro, e poi un poco più scuro, di maniera ch'a poco a poco troverremo il nero schietto.

Fatte dunque le mestiche, cioè mescolati insieme questi colori, volendo lavorare o a olio o a tempera o in fresco, si va coprendo il lineamento, e mettendo a' suoi luoghi i chiari e gli scuri et i mezzi e gli abbagliati de' mezzi e de' lumi, che sono quelle tinte mescolate de' tre primi, chiaro, mezzano e scuro, i quali chiari e mezzani e scuri et abbagliati si cavano dal cartone o vero altro disegno che per tal cosa è fatto per porlo in opra; il qual'è necessario che sia condotto con buona collocazione e disegno fondato, e con giudizio et invenzione, atteso che la collocazione non è altro nella pittura, che avere spartito in quel loco dove si fa una figura, che gli spazii siano concordi al giudizio dell'occhio, e non siano disformi; che il campo sia in un luogo pieno e nell'altro vòto: la qual cosa nasca dal disegno, e dall'avere ritratto o figure di naturale vive o da' modelli di figure fatte per quello che si voglia fare. Il qual disegno non può avere buon'origine, se non s'ha dato continuamente opera a ritrarre cose naturali, e studiato pitture d'eccellenti maestri, e di statue antiche di rilievo, come s'è tante volte detto. Ma sopra tutto il meglio è gl'ignudi degli uomini vivi e femine, e da quelli avere preso in memoria per lo continovo uso i muscoli del torso, delle schiene, delle gambe, delle braccia, delle ginocchia e l'ossa di sotto, e poi avere sicurtà per lo molto studio, che senza avere i naturali inanzi si possa formare di fantasia, da sé, attitudini per ogni verso; così aver veduto degli uomini scorticati, per sapere come stanno 047l'ossa sotto et i muscoli et i nervi con tutti gli ordini e' termini della notomia, per potere con maggior sicurtà, e più rettamente situare le membra nell'uomo, e porre i muscoli nelle figure. E coloro che ciò sanno, forza è che faccino perfettamente i contorni delle figure; le quali, dintornate come elle debbono, mostrano buona grazia e bella maniera. Perché chi studia le pitture e sculture buone, fatte con simil modo, vedendo et intendendo il vivo, è necessario che abbi fatto buona maniera nell'arte. E da ciò nasce l'invenzione, la quale fa mettere insieme in istoria le figure a quattro, a sei, a dieci, a venti, talmente che si viene a formare le battaglie e l'altre cose grandi dell'arte. Questa invenzione vuol in sé una convenevolezza formata di concordanza e d'obedienza: ché, s'una figura si muove per salutare un'altra, non si faccia la salutata voltarsi indietro, avendo a rispondere; e con questa similitudine tutto il resto.

La istoria sia piena di cose variate e differenti l'una da l'altra, ma a proposito sempre di quello che si fa, e che di mano in mano figura lo artefice, il quale debbe distinguere i gesti e l'attitudini, facendo le femmine con aria dolce e bella, e similmente i giovani; ma i vecchi gravi sempre d'aspetto, et i sacerdoti massimamente, e le persone di autorità; avvertendo però sempremai che ogni cosa corrisponda ad un tutto dell'opera, di maniera che quando la pittura si guarda, vi si conosca una concordanza unita, che dia terrore nelle furie e dolcezza negli effetti piacevoli, e rappresenti in un tratto la intenzione del pittore, e non le cose che e' non pensava. Conviene adunque per questo che e' formi le figure che hanno ad essere fiere con movenzia e con gagliardia, e sfugga quelle che sono lontane dalle prime con l'ombre e con i colori appoco appoco dolcemente oscuri: di maniera che l'arte sia accompagnata sempre con una grazia di facilità e di pulita leggiadria di colori, e condotta l'opera a perfezzione, non con uno stento di passione crudele, che gl'uomini che ciò guardano abbino a patire pena della passione che in tal'opera veggono sopportata dallo artefice, ma da ralegrarsi della felicità che la sua mano abbia avuto dal cielo quella agilità, che renda le cose finite con istudio e fatica sì, ma non con istento; tanto che, dove elle sono poste, non siano morte, ma si appresentino vive e vere a chi le considera. Guardinsi da le crudezze, e cerchino che le cose che di continuo fanno, non paiono dipinte, ma si dimostrino vive e di rilievo fuor della opera loro.

E questo è il vero disegno fondato e la vera invenzione, che si conosce esser data da chi le ha fatte alle pitture che si conoscono e giudicano come buone.

Cap. XVI. Degli schizzi, disegni, cartoni et ordine di prospettive: e per quel che si fanno, et a quello che i pittori se ne servono.

Gli schizzi, de' quali si è favellato di sopra, chiamiamo noi una prima sorte di disegni che si fanno per trovar il modo delle attitudini, et il primo componimento dell'opra, e sono fatti in forma di una macchia e accennati solamente da noi in una sola bozza del tutto; e perché dal furor dello artefice sono in poco tempo con penna o con altro disegnatoio o carbone espressi solo per tentare l'animo di quel che gli sovviene, perciò si chiamano schizzi. Da questi dunque vengono poi rilevati in buona forma i disegni, nel far de' quali con tutta quella diligenza che si può, si cerca vedere dal vivo se già l'artefice non si sentisse gagliardo in modo che da sé li potesse condurre. Appresso, misuratili con le seste o a occhio, si ringrandiscono dalle misure piccole nelle maggiori, secondo l'opera che si ha da fare.

Questi si fanno con varie cose, cioè o con lapis rosso che è una pietra la qual viene da' monti di Alamagna, che, per esser tenera, agevolmente si sega e riduce in punte sottili da segnare con esse in sui fogli come tu vuoi; o con la pietra nera che viene da' monti di Francia, la qual'è similmente come la rossa; altri di chiaro e scuro si conducono su fogli tinti, che fanno un mezzo, e la penna fa il lineamento, cioè il dintorno o profilo, e l'inchiostro poi con un poco d'acqua fa una tinta dolce che lo vela et ombra; di poi con un pennello sottile intinto nella biacca stemperata con la gomma si lumeggia il disegno; e questo modo è molto alla pittoresca e mostra più l'ordine del colorito. Molti altri fanno con la penna sola, lasciando i lumi della carta; che è difficile, ma molto maestrevole; et infiniti altri modi ancora si costumano nel disegnare, de' quali non accade fare menzione, perché tutti rappresentano una cosa medesima, cioè il disegnare.

Fatti così i dissegni, chi vuole lavorar in fresco, cioè in muro, è necessario che faccia i cartoni, ancora ch'e' si costumi per molti di fargli per lavorar anco in tavola. Questi cartoni si fanno così: impastansi fogli con colla di farina e acqua cotta al fuoco; fogli, dico, che siano squadrati, e si tirano al muro con l'incollarli attorno due dita verso il muro con la medesima pasta. E si bagnano spruzzandovi dentro per tutto acqua fresca, e così molli si tirano, acciò nel seccarsi vengano a distendere il molle delle grinze. Da poi quando sono secchi si vanno, con una canna lunga che abbia in cima un carbone, riportando sul cartone per giudicar da discosto tutto quello che nel disegno piccolo è disegnato con pari grandezza; e così a poco a poco quando a una figura, e quando all'altra dànno fine. Qui fanno i pittori tutte le fatiche dell'arte, del ritrarre dal vivo ignudi e panni di naturale, e tirano le prospettive con tutti quelli ordini che piccoli si sono fatti in su' fogli, ringrandendoli a proporzione. E se in quegli fussero prospettive o casamenti, si ringrandiscono con la rete; la qual'è una graticola di quadri piccoli ringrandita nel cartone, che riporta giustamente ogni cosa. Perché chi ha tirate le prospettive ne' disegni piccoli, cavate di su la pianta, alzate col profilo e con la intersecazione e col punto fatte diminuire e sfuggire, bisogna che le riporti proporzionate in sul cartone. Ma del modo del tirarle, perché ella è cosa fastidiosa e difficile a darsi ad intendere, non voglio io parlare altrimenti. Basta, che le prospettive son belle tanto, quanto elle si mostrano giuste alla loro veduta, e sfuggendo si allontanano dall'occhio, e quando elle sono composte con variato e bello ordine di casamenti. Bisogna poi che 'l pittore abbia risguardo a farle con proporzione sminuire con la dolcezza de' colori, la qual'è nell'artefice una retta discrezione et un giudicio buono; la causa del quale si mostra nella difficultà delle tante linee confuse colte dalla pianta, dal profilo, et intersecazione, che ricoperte dal colore restano una facillissima cosa, la qual fa tenere l'artefice dotto, intendente et ingegnoso nell'arte. Usano ancora molti maestri, innanzi che faccino la storia nel cartone, fare un modello di terra in su un piano, con situar tonde tutte le figure per vedere gli sbattimenti, cioè l'ombre che da un lume si causano addosso alle figure, che sono quell'ombra tolta dal sole il quale, più crudamente che il lume, le fa in terra, nel piano, per l'ombra della figura. E di qui ritraendo il tutto della opra, hanno fatto l'ombre che percuotono adosso all'una e l'altra figura: onde ne vengono i cartoni e l'opera, per queste fatiche, di perfezzione e di forza più finiti, e da la carta si spiccano per il rilievo; il che dimostra il tutto più bello e maggiormente finito.

039E quando questi cartoni al fresco o al muro s'adoprano, ogni giorno nella commettitura se ne taglia un pezzo, e si calca sul muro, che sia incalcinato di fresco e pulito eccellentemente. Questo pezzo del cartone si mette in quel luogo dove s'ha a fare la figura, e si contrassegna; perché l'altro dì che si voglia rimettere un altro pezzo, si riconosca il suo luogo a punto e non possa nascere errore. Appresso per i dintorni del pezzo detto, con un ferro si va calcando in su l'intonaco della calcina; la quale, per essere fresca, acconsente alla carta, e così ne rimane segnata. Per il che si lieva via il cartone, e per que' segni che nel muro sono calcati si va con i colori lavorando, e così si conduce il lavoro in fresco o in muro. Alle tavole et alle tele si fa il medesimo calcato, ma il cartone d'un pezzo, salvo che bisogna tingere di dietro il cartone con carboni o polvere nera, acciò che segnando poi col ferro, egli venga profilato e disegnato nella tela o tavola. E per questa cagione i cartoni si fanno per compartire, che l'opra venga giusta e misurata. Assai pittori sono che per l'opre a olio sfuggono ciò, ma per il lavoro in fresco non si può sfuggire che non si faccia. Ma certo chi trovò tal'invenzione ebbe buona fantasia, atteso che ne' cartoni si vede il giudizio di tutta l'opra insieme, e si acconcia e guasta, finché stiano bene, il che nell'opra poi non può farsi.

Cap. XVII. De li scorti delle figure al di sotto in su, e di quelli in piano.

Hanno avuto gli artefici nostri una grandissima avvertenza nel fare scortare le figure, cioè nel farle apparire di più quantità che elle non sono veramente, essendo lo scorto a noi una cosa disegnata in faccia corta, che all'occhio venendo innanzi non ha la lunghezza o l'altezza che ella dimostra. Tuttavia la grossezza, i dintorni, l'ombre et i lumi fanno parere che ella venga innanzi; e per questo si chiama scorto. Di questa specie non fu mai pittore o disegnatore che facesse meglio, che s'abbia fatto il nostro Michelangelo Buonarroti: et ancora nessuno meglio gli poteva fare, avendo egli divinamente fatto le figure di rilievo. Egli, prima, di terra o di cera ha per questo uso fatti i modelli, e da quegli, ché più del vivo restano fermi, ha cavato i contorni, i lumi e l'ombre. Questi dànno a chi non intende grandissimo fastidio, perché non arrivano con l'intelletto a la profondità di tale difficultà, la qual'è la più forte a farla bene, che nessuna che sia nella pittura. E certo i nostri vecchi, come amorevoli dell'arte, trovarono il tirarli per via di linee in prospettiva, il che non si poteva fare prima, e li ridussero tanto inanzi, che oggi s'ha la vera maestria di farli. E quegli che li biasimano (dico delli artefici nostri) sono quelli che non li sanno fare, e che per alzare se stessi vanno abassando altrui. Et abbiamo assai maestri pittori i quali ancora che valenti, non si dilettano di fare scorti; e, nientedimeno, quando gli veggono belli e difficili non solo non gli biasimano, ma gli lodano sommamente.

Di questa specie ne hanno fatto i moderni alcuni che sono a proposito e difficili, come sarebbe a dir, in una volta, le figure che guardando in su, scortano e sfuggono, e questi chiamiamo al di sotto in su, ch'hanno tanta forza ch'eglino bucano le volte. E questi non si possono fare se non si ritraggono dal vivo, o con modelli in altezze convenienti non si fanno fare loro le attitudini e le movenzie di tali cose. E certo in questo genere si recano in quella difficultà una somma grazia e molta bellezza, e mostrasi una terribilissima arte. Di questa specie troverrete che gli artefici nostri nelle vite loro hanno dato grandissimo rilievo a tali opere e condottele a una perfetta fine, onde hanno conseguito lode grandissima. Chiamansi scorti di sotto in su, perché il figurato è alto e guardato dall'occhio per veduta in su, e non per la linea piana dell'orizzonte. Laonde, alzandosi la testa a volere vederlo, e scorgendosi prima le piante de' piedi e l'altre parti di sotto, giustamente si chiama col detto nome.

Cap. XVIII. Come si debbino unire i colori a olio, a fresco o a tempera, e come le carni, i panni e tutto quello che si dipigne venga nell'opera a unire in modo, che le figure non venghino divise, et abbino rilievo e forza, e mostrino l'opera chiara et aperta.

L'unione nella pittura è una discordanza di colori diversi accordati insieme; i quali, nella diversità di più divise mostrano differentemente distinte l'una dall'altra le parti delle figure; come le carni dai capelli, et un panno diverso di colore da l'altro. Quando questi colori son messi in opera accesamente e vivi con una discordanza spiacevole, talché siano tinti e carichi di corpo sì come usavano di fare già alcuni pittori, il disegno ne viene ad essere offeso di maniera che le figure restano più presto dipinte dal colore, che dal pennello che le lumeggia e adombra, fatte apparire di rilievo e naturali.

Tutte le pitture, adunque, o a olio o a fresco o a tempera si debbon fare talmente unite ne' loro colori, che quelle figure che nelle storie sono le principali venghino condotte chiare chiare, mettendo i panni di colore non tanto scuro addosso a quelle dinanzi, ché quelle che vanno dopo gli abbino più chiari che le prime; anzi, a poco a poco, tanto quanto elle vanno diminuendo a lo indentro, divenghino anco parimente, di mano in mano, e nel colore delle carnagioni e nelle vestimenta, più scure. E principalmente si abbia grandissima avvertenza di mettere sempre i colori più vaghi, più dilettevoli e più belli nelle figure principali et in quelle massimamente che nella istoria vengono intere e non mezze, perché queste sono sempre le più considerate, e quelle che sono più vedute che l'altre, le quali servono quasi per campo nel colorito di queste; et un colore più smorto fa parere più vivo l'altro che gli è posto accanto, et i colori maninconici e pallidi fanno parere più allegri quelli che li sono accanto, e quasi d'una certa bellezza fiameggianti. Né si debbono vestire gli ignudi di colori tanto carichi di corpo, che dividino le carni da' panni, quando detti panni atraversassino detti ignudi; ma i colori de' lumi di detti panni siano chiari, simili alle carni, o gialletti o rossigni o violati o pagonazzi, con cangiare i fondi scuretti o verdi o azzurri o pagonazzi o gialli, purché tragghino a lo oscuro, e che unitamente si accompagnino nel girare delle figure con le lor ombre, in quel medesimo modo che noi veggiamo nel vivo; ché quelle parti che ci si apresentano più vicine all'occhio, più hanno di lume, e l'altre, perdendo di vista, perdono ancora del lume e del colore.

072Così nella pittura si debbono adoperare i colori con tanta unione, che e' non si lasci uno scuro et un chiaro sì spiacevolmente ombrato e lumeggiato, che e' si faccia una discordanza et una disunione spiacevole, salvo che negli sbattimenti, che sono quell'ombre che fanno le figure adosso l'una all'altra, quando un lume solo percuote adosso a una prima figura, che viene ad ombrare col suo sbattimento la seconda. E questi ancora, quando accaggiono, voglion esser dipinti con dolcezza et unitamente, perché chi gli disordina viene a fare che quella pittura par più presto un tappeto colorito o un paro di carte da giocare, che carne unita o panni morbidi o altre cose piumose, delicate e dolci. Che sì come gli orecchi restano offesi da una musica che fa strepito o dissonanza o durezza (salvo però in certi luoghi e a' tempi, sì come io dissi degli sbattimenti), così restano offesi gli occhi da' colori troppo carichi o troppo crudi. Conciò sia che il troppo acceso offende il disegno, e lo abbacinato, smorto, abbagliato e troppo dolce pare una cosa spenta, vecchia ed affumicata; ma lo unito che tenga in fra lo acceso e lo abbagliato è perfettissimo e diletta l'occhio, come una musica unita et arguta diletta lo orecchio.

Debbonsi perdere negli scuri certe parti delle figure, e nella lontananza della istoria; perché oltre che, se elle fussono nello apparire troppo vive et accese, confonderebbono le figure, elle dànno ancora, restando scure et abbagliate quasi come campo, maggiore forza alle altre che vi sono inanzi. Né si può credere quanto nel variare le carni con i colori, faccendole a' giovani più fresche che a' vecchi, et ai mezzani tra il cotto et il verdiccio e gialliccio, si dia grazia e bellezza alla opera, e quasi in quello stesso modo che si faccia nel disegno, l'aria delle vecchie accanto alle giovani et alle fanciulle et a' putti; dove veggendosene una tenera e carnosa, l'altra pulita e fresca, fa nel dipinto una discordanza accordatissima. Et in questo modo si debbe nel lavorare metter gli scuri, dove meno offendino e faccino divisione, per cavare fuori le figure; come si vede nelle pitture di Rafaello da Urbino e di altri pittori eccellenti che hanno tenuto questa maniera. Ma non si debbe tenere questo ordine nelle istorie dove si contrafacessino lumi di sole e di luna, o vero fuochi o cose notturne; perché queste si fanno con gli sbattimenti crudi e taglienti, come fa il vivo. E nella sommità dove sì fatto lume percuote, sempre vi sarà dolcezza et unione. Et in quelle pitture che aranno queste parti, si conoscerà che la intelligenza del pittore arà con la unione del colorito campata la bontà del disegno, dato vaghezza alla pittura, e rilievo e forza terribile alle figure.

Cap. XIX. Del dipingere in muro: come si fa e perché si chiama lavorare in fresco.

Di tutti gl'altri modi che i pittori faccino, il dipignere in muro è più maestrevole e bello, perché consiste nel fare in un giorno solo quello che nelli altri modi si può in molti ritoccare sopra il lavorato. Era dagli antichi molto usato il fresco, et i vecchi moderni ancora l'hanno poi seguitato. Questo si lavora su la calce che sia fresca, né si lascia mai sino a che sia finito quanto per quel giorno si vuole lavorare. Perché allungando punto il dipignerla, fa la calce una certa crosterella pel caldo, pel freddo, pel vento e pe' ghiacci, che muffa e macchia tutto il lavoro. E per questo vuole essere continovamente bagnato il muro che si dipigne, et i colori che vi si adoperano, tutti di terre e non di miniere, et il bianco di trevertino, cotto. Vuole ancora una mano destra resoluta e veloce, ma sopra tutto un giudizio saldo et intero; perché i colori, mentre che il muro è molle, mostrano una cosa in un modo, che poi secco non è più quella. E però bisogna che in questi lavori a fresco giuochi molto più nel pittore il giudizio che il disegno, e che egli abbia per guida sua una pratica più che grandissima, essendo sommamente difficile il condurlo a perfezione. Molti de' nostri artefici vagliono assai negl'altri lavori, cioè a olio o a tempera, et in questo poi non riescono, per essere egli veramente il più virile, più sicuro, più resoluto e durabile di tutti gli altri modi, e quello che, nello stare fatto, di continuo acquista di bellezza e di unione più degl'altri infinitamente. Questo all'aria si purga, e dall'acqua si difende, e regge di continuo a ogni percossa. Ma bisogna guardarsi di non avere a ritoccarlo co' colori che abbino colla di carnicci, o rosso d'uovo o gomma o draganti, come fanno molti pittori; perché, oltra che il muro non fa il suo corso di mostrare la chiarezza, vengono i colori apannati da quello ritoccar di sopra, e con poco spazio di tempo diventano neri. Però quegli che cercano lavorar in muro, lavorino virilmente a fresco, e non ritocchino a secco; perché, oltre l'esser cosa vilissima, rende più corta vita alle pitture, come in altro luogo s'è detto.

Cap. XX. Del dipignere a tempera o vero a uovo su le tavole o tele; e come si può usare sul muro che sia secco.

Da Cimabue in dietro, e da lui in qua s'è sempre veduto opre lavorate da' Greci a tempera in tavola et in qualche muro. Et usavano, nello ingessare delle tavole questi maestri vecchi, dubitando che quelle non si aprissero in su le commettiture, mettere per tutto con la colla di carnicci tela lina, e poi sopra quella ingessavano per lavorarvi sopra, e temperavano i colori da condurle col rosso dell'uovo o tempera, la qual'è questa: toglievano un uovo e quello dibattevano, e dentro vi tritavano un ramo tenero di fico, acciò che quel latte con quell'uovo facesse la tempera de' colori, i quali con essa temperando, lavoravano l'opere loro. E toglievano per quelle tavole i colori ch'erano di miniere, i quali son fatti parte dagli alchimisti, e parte trovati nelle cave. Et a questa specie di lavoro ogni colore è buono, salvo ch'il bianco che si lavora in muro fatto di calcina, perch'è troppo forte; così venivano loro condotte con questa maniera le opere e le pitture loro, e questo chiamavono colorire a tempera. Solo gli azzurri temperavono con colla di carnicci; perché la giallezza dell'uovo gli faceva diventar verdi, ove la colla li mantiene nell'essere loro, e 'l simile fa la gomma. Tiensi la medesima maniera su le tavole o ingessate o senza, e così su' muri che siano secchi si dà una o due mani di colla calda, e dipoi con colori temperati con quella si conduce tutta l'opera; e chi volesse temperare ancora i colori a colla, agevolmente gli verrà fatto, osservando il medesimo che nella tempera si è raccontato. Né saranno peggiori per questo; poiché anco de' vecchi maestri nostri si sono vedute le cose a tempera conservate centinaia d'anni con bellezza e freschezza grande. E certamente e' si vede ancora delle cose di Giotto, che ce n'è pure alcuna in tavola, durata già dugento anni e mantenutasi molto bene. È poi venuto il lavorar a olio, che ha fatto per molti mettere in bando il modo della tempera, sì come oggi veggiamo che nelle tavole e nelle altre cose d'importanza si è lavorato e si lavora ancora del continovo.

Cap. XXI. Del dipingere a olio in tavola e su tele.

Fu una bellissima invenzione et una gran commodità all'arte della pittura il trovare il colorito a olio, di che fu primo inventore in Fiandra Giovanni da Bruggia, il quale mandò la tavola a Napoli al re Alfonso et al duca d'Urbino Federico II la stufa sua; e fece un S. Gironimo che Lorenzo de' Medici aveva, e molte altre cose lodate. Lo seguitò poi Rugieri da Bruggia suo discipolo, et Ausse creato di Rugieri, che fece a' Portinari in S. Maria Nuova di Firenze un quadro picciolo, il qual è oggi apresso al duca Cosimo, et è di sua mano la tavola di Careggi, villa fuori di Firenze della illustrissima casa de' Medici. Furono similmente de' primi Lodovico da Luano e Pietro Crista, e maestro Martino e Giusto da Guanto, che fece la tavola della comunione del duca d'Urbino et altre pitture, et Ugo d'Anversa, che fe' la tavola di S. Maria Nuova di Fiorenza. Questa arte condusse poi in Italia Antonello da Messina che molti anni consumò in Fiandra, e nel tornarsi di qua da' monti, fermatosi ad abitare in Venezia, la insegnò ad alcuni amici. Uno de' quali fu Domenico Veniziano che la condusse poi in Firenze, quando dipinse a olio la capella de' Portinari in S. Maria Nuova, dove la imparò Andrea dal Castagno, che la insegnò agli altri maestri, con i quali si andò ampliando l'arte et acquistando sino a Pietro Perugino, a Lionardo da Vinci et a Rafaello da Urbino, talmente che ella s'è ridotta a quella bellezza che gli artefici nostri mercé loro l'hanno acquistata.

Questa maniera di colorire accende più i colori, né altro bisogna che diligenza et amore, perché l'olio in sé si reca il colorito più morbido, più dolce e dilicato e di unione e sfumata maniera più facile che li altri; e mentre che fresco si lavora, i colori si mescolano e si uniscono l'uno con l'altro più facilmente; et insomma gli artefici danno in questo modo bellissima grazia e vivacità e gagliardezza alle figure loro, talmente che spesso ci fanno parere di rilievo le loro figure e che ell'eschino della tavola, e massimamente quando elle sono continovate di buono disegno con invenzione e bella maniera.

Ma per mettere in opera questo lavoro si fa così: quando vogliono cominciare, cioè ingessato che hanno le tavole o' quadri, gli radono, e datovi di dolcissima colla quattro o cinque mani con una spugna, vanno poi macinando i colori con olio di noce o di seme di lino (benché il noce è meglio, perché ingialla meno) e così macinati con questi olii, che è la tempera loro, non bisogna altro, quanto a essi, che distenderli col pennello. Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallo-lino, terra da campane, mescolati tutti in un corpo e d'un color solo, e quando la colla è secca, impiastrarla su per la tavola e poi batterla con la palma della mano, tanto ch'ella venga egualmente unita e distesa per tutto, il che molti chiamano l'imprimatura. Dopo, distesa detta mestica o colore per tutta la tavola, si metta sopra essa il cartone che averai fatto con le figure e invenzioni a tuo modo; e sotto questo cartone se ne metta un altro tinto da un lato di nero, cioè da quella parte che va sopra la mestica; apuntati poi con chiodi piccoli l'uno e l'altro, piglia una punta di ferro o vero d'avorio o legno duro, e va' sopra i profili del cartone segnando sicuramente, perché così facendo non si guasta il cartone, e nella tavola o quadro vengono benissimo proffilate tutte le figure e quello che è nel cartone sopra la tavola. E chi non volesse far cartone, disegni con gesso da sarti bianco sopra la mestica, o vero con carbone di salcio, perché l'uno e l'altro facilmente si cancella. E così si vede che seccata questa mestica, lo artefice, o calcando il cartone o con gesso bianco da sarti disegnando, l'abozza; il che alcuni chiamano imporre. E finita di coprire tutta, ritorna con somma politezza lo artefice da capo a finirla; e qui usa l'arte e la diligenza per condurla a perfezione; e così fanno i maestri in tavola a olio le loro pitture.

Cap. XXII. Del pingere a olio nel muro che sia secco.

Quando gli artefici vogliono lavorare a olio in sul muro secco, due maniere possono tenere: una con fare che il muro, se vi è dato su il bianco o a fresco o in altro modo, si raschi, o se egli è restato liscio senza bianco ma intonacato, vi si dia su due o tre mani di olio bollito e cotto, continoando di ridarvelo su, sino a tanto che non voglia più bere; e poi, secco, si gli dà di mestica o imprimatura, come si disse nel capitolo avanti a questo. Ciò fatto e secco, possono gli artefici calcare o disegnare, e tale opera come la tavola condurre al fine, tenendo mescolato continuo nei colori un poco di vernice, perché facendo questo non accade poi vernicarla.

L'altro modo è che l'artefice di stucco di marmo e di matton pesto finissimo fa un arricciato che sia pulito, e lo rade col taglio della cazzuola, perché il muro ne resti ruvido; appresso gli dà una man d'olio di seme di lino, e poi fa in una pignatta una mistura di pece greca e mastico e vernice grossa, e quella bollita, con un pennel grosso si dà nel muro; poi si distende per quello con una cazzuola da murar che sia di fuoco; questa intasa i buchi dell'arricciato, e fa una pelle più unita per il muro. E poi ch'è secca, si va dandole d'imprimatura o di mestica, e si lavora nel modo ordinario dell'olio, come abbiamo ragionato. E perché la sperienza di molti anni mi ha insegnato come si possa lavorar a olio in sul muro, ultimamente ho seguitato nel dipigner le sale, camere et altre stanze del palazzo del duca Cosimo, il modo che in questo ho per l'adietro molte volte tenuto; il qual modo, brevemente, è questo: facciasi l'arricciato, sopra il quale si ha da far l'intonaco di calce, di matton pesto e di rena, e si lasci seccar bene affatto; ciò fatto, la materia del secondo intonaco sia calce, matton pesto stiacciato bene, e schiuma di ferro, perché tutte e tre queste cose, cioè di ciascuna il terzo, incorporate con chiara d'uova battute quanto fa bisogno, et olio di seme di lino, fanno uno stucco tanto serrato, che non si può disiderar in alcun modo migliore. Ma bisogna bene avvertire di non abbandonare l'intonaco mentre la materia è fresca, perché fenderebbe in molti luoghi; anzi è necessario, a voler che si conservi buono, non se gli levar mai d'intorno con la cazzuola o vero mestola o cucchiara che vogliam dire, insino a che non sia del tutto pulitamente disteso come ha da stare. Secco poi che sia questo intonaco, e datovi sopra d'imprimatura o mestica, si condurranno le figure e le storie perfettamente, come l'opere del detto palazzo e molte altre possono chiaramente dimostrare a ciascuno.

093Cap. XXIII. Del dipignere a olio su le tele.

Gli uomini per potere portare le pitture di paese in paese, hanno trovato la comodità delle tele dipinte, come quelle che pesano poco, et avvolte sono agevoli a trasportarsi. Queste a olio, perch'elle siano arrendevoli, se non hanno a stare ferme non s'ingessano, atteso che il gesso vi crepa su arrotolandole; però si fa una pasta di farina con olio di noce, et in quello si metteno due o tre macinate di biacca; e quando le tele hanno avuto tre o quattro mani di colla, che sia dolce, ch'abbia passato da una banda all'altra, con un coltello si dà questa pasta, e tutti i buchi vengono con la mano dell'artefice a turarsi. Fatto ciò, se le dà una o due mani di colla dolce, e da poi la mestica o imprimatura; et a dipignervi sopra si tiene il medesimo modo che agl'altri di sopra racconti. E perché questo modo è paruto agevole e commodo, si sono fatti non solamente quadri piccioli per portare attorno, ma ancora tavole da altari et altre opere di storie, grandissime, come si vede nelle sale del palazzo di S. Marco di Vinezia, et altrove, avenga che dove non arriva la grandezza delle tavole, serve la grandezza e 'l commodo delle tele.

Cap. XXIV. Del dipingere in pietra a olio, e che pietre siano buone.

È cresciuto sempre lo animo a' nostri artefici pittori, faccendo che il colorito a olio, oltra l'averlo lavorato in muro, si possa volendo lavorare ancora su le pietre; delle quali hanno trovato nella riviera di Genova quella spezie di lastre che noi dicemmo nella architettura che sono attissime a questo bisogno; perché per esser serrate in sé e per avere la grana gentile pigliano il pulimento piano. In su queste hanno dipinto modernamente quasi infiniti e trovato il modo vero da potere lavorarvi sopra. Hanno provate poi le pietre più fine, come mischi di marmo, serpentini e porfidi, et altre simili, che sendo liscie e brunite, vi si attacca sopra il colore. Ma nel vero, quando la pietra sia ruvida et arida, molto meglio inzuppa e piglia l'olio bollito et il colore dentro; come alcuni piperni o vero piperigni gentili, i quali quando siano battuti col ferro e non arrenati con rena o sasso di tufi, si possono spianare con la medesima mistura che dissi nell'arricciato, con quella cazzuola di ferro infocata. Perciò che a tutte queste pietre non accade dar colla in principio, ma solo una mano d'imprimatura di colore a olio, cioè mestica; e secca che ella sia, si può cominciare il lavoro a suo piacimento. E chi volesse fare una storia a olio su la pietra, può tôrre di quelle lastre genovesi e farle fare quadre, e fermarle nel muro co' perni sopra una incrostatura di stucco, distendendo bene la mestica in su le commettiture, di maniera che e' venga a farsi per tutto un piano di che grandezza l'artefice ha bisogno. E questo è il vero modo di condurre tali opre a fine; e, finite, si può a quelle fare ornamenti di pietre fini, di misti e d'altri marmi; le quali si rendono durabili in infinito, purché con diligenza siano lavorate; e possonsi e non si possono vernicare, come altrui piace, perché la pietra non prosciuga, cioè non sorbisce quanto fa la tavola e la tela, e si difende da' tarli, il che non fa il legname.

Cap. XXV. Del dipignere nelle mura di chiaro e scuro di varie terrette; e come si contrafanno le cose di bronzo; e delle storie di terretta per archi o per feste, a colla, che è chiamato a guazzo et a tempera.

Vogliono i pittori che il chiaroscuro sia una forma di pittura che tragga più al disegno che al colorito, perché ciò è stato cavato dalle statue di marmo contrafacendole, e dalle figure di bronzo et altre varie pietre; e questo hanno usato di fare nelle faciate de' palazzi e case in istorie, mostrando che quelle siano contrafatte, e paino di marmo o di pietra con quelle storie intagliate; o veramente contrafacendo quelle sorti di spezie di marmo e porfido, e di pietra verde, e granito rosso e bigio, o bronzo, o altre pietre, come par loro meglio, si sono accommodati in più spartimenti di questa maniera; la qual'è oggi molto in uso per fare le facce delle case e de' palazzi, così in Roma come per tutta Italia.

Queste pitture si lavorano in due modi, prima in fresco, che è la vera, o in tele per archi, che si fanno nell'entrate de' principi nelle città e ne' trionfi, o negli apparati delle feste e delle comedie, perché in simili cose fanno bellissimo vedere. Trattaremo prima della spezie e sorte del fare in fresco, poi diremo de l'altra. Di questa sorte di terretta si fanno i campi con la terra da fare i vasi, mescolando quella con carbone macinato o altro nero per far l'ombre più scure, e bianco di trevertino con più scuri e più chiari, e si lumeggiano col bianco schietto, e con ultimo nero a ultimi scuri finite. Vogliono avere tali specie fierezza, disegno, forza, vivacità e bella maniera, et essere espresse con una gagliardezza che mostri arte e non stento, perché si hanno a vedere et a conoscere di lontano. E con queste ancora s'imitino le figure di bronzo, le quali col campo di terra gialla e rossa s'abbozzano, e con più scuri di quello nero e rosso e giallo si sfondano, e con giallo schietto si fanno i mezzi, e con giallo e bianco si lumeggiano. E di queste hanno i pittori le facciate e le storie di quelle con alcune statue tramezzate, che in questo genere hanno grandissima grazia.

083Quelle poi che si fanno per archi, comedie, o feste, si lavorano poi che la tela sia data di terretta, cioè di quella prima terra schietta da far vasi temperata con colla; e bisogna che essa tela sia bagnata di dietro mentre l'artefice la dipigne, acciò che con quel campo di terretta unisca meglio li scuri et i chiari della opera sua; e si costuma temperare i neri di quelle con un poco di tempera; e si adoperano biacche per bianco, e minio per dar rilievo alle cose che paiono di bronzo, e giallolino per lumeggiare sopra detto minio; e per i campi e per gli scuri le medesime terre gialle e rosse, et i medesimi neri che io dissi nel lavorare a fresco, i quali fanno mezzi et ombre. Ombrasi ancora con altri diversi colori altre sorte di chiari e scuri; come con terra d'ombra, alla quale si fa la terretta di verde terra e gialla e bianco; similmente con terra nera, che è un'altra sorte di verde terra e nera, che la chiamano verdaccio.

Cap. XXVI. Degli sgraffiti delle case che reggono a l'acqua, quello che si adoperi a fargli, e come si lavorino le grottesche nelle mura.

Hanno i pittori un'altra sorte di pittura che è disegno e pittura insieme, e questo si domanda sgraffito, e non serve ad altro che per ornamenti di facciate, di case e palazzi, che più brevemente si conducono con questa spezie, e reggono all'acque sicuramente; perché tutt'i lineamenti invece di essere disegnati con carbone o con altra materia simile, sono tratteggiati con un ferro dalla mano del pittore; il che si fa in questa maniera: pigliano la calcina mescolata con la rena, ordinariamente, e con paglia abbruciata la tingono d'uno scuro che venga in un mezzo colore che trae in argentino, e verso lo scuro un poco più che tinta di mezzo, e con questa intonacano la facciata. E fatto ciò e pulita, col bianco della calce di trevertino, l'imbiancano tutta, et imbiancata ci spolverano su i cartoni, o vero disegnano quel che ci vogliono fare; e di poi aggravando col ferro, vanno dintornando e tratteggiando la calce; la quale essendo sotto di corpo nero, mostra tutti i graffi del ferro come segni di disegno. E si suole ne' campi di quegli radere il bianco, e poi avere una tinta d'acquerello scuretto molto acquidoso, e di quello dare per gli scuri, come si desse a una carta; il che di lontano fa un bellissimo vedere: ma il campo, se ci è grottesche o fogliami, si sbattimenta, cioè ombreggia con quello acquerello. E questo è il lavoro, che per esser dal ferro graffiato, hanno chiamato i pittori sgraffito.

Restaci or a ragionare delle grottesche che si fanno sul muro, dunque, quelle che vanno in campo bianco. Non ci essendo il campo di stucco per non essere bianca la calce, si dà per tutto sottilmente il campo di bianco, e fatto ciò, si spolverano e si lavorano in fresco di colori sodi, perché non arebbono mai la grazia ch'hanno quelle che si lavorano su lo stucco. Di questa spezie possono essere grottesche grosse e sottili, le quali vengono fatte nel medesimo modo che si lavorano le figure a fresco o in muro.

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